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Sergio Atzeni

L’incontro con il prof Duilio Caocci di martedì 4 aprile segna la conclusione di un breve ma intenso corso di letteratura sarda: dalla Deledda, donna del secolo scorso che dei sardi seppe raccontare l’identità antropologica a Giuseppe Dessi che della verità storica volle farsi guida nella narrazione a Sergio Atzeni che a episodi storici fa riferimento come delle fole di un’epoca superstiziosa con lo scopo di imbastire meglio la sua satira contro l’élite della Cagliari dell’epoca.

Atzeni nelle sue opere, quasi risponde alle fole degli “altri”, l’abitudine, cioè, di descrivere la Sardegna come un luogo esotico e bizzarro e l’altrettanta cattiva abitudine dei sardi di accogliere tali bizzarrie senza opporre resistenza.

Silenzioso e attento il pubblico si lascia coinvolgere dal racconto di un docente che parla di un narratore che ha cambiato il modo di raccontare la Sardegna, che ha immerso in atmosfere fiabesche con spigolature allegoriche e punte di comicità.

Una Sardegna che ha sempre avuto di sé l’dea che nei territori barbaricini una cultura autoctona si fosse radicata a custodia di una identità originaria e l’altra costiera, contaminata da influssi esterni e coloniali.

I due modelli agiscono in diversi romanzi di Atzeni. Il primo romanzo “Apologo del Giudice bandito” che assume la data 1492 come la conclusione di un feudalesimo che aveva visto un popolo libero con i suoi giudicati a differenza dell’ultimo pubblicato postumo “Passavamo sulla terra leggeri” che narra di tempi lunghi e di epoche nuragiche quasi a voler sottolineare la convinzione che con la caduta dei giudicati finisca la libertà di un intero popolo

Atzeni mediovaleggia spesso e in vario modo, persino quando decide di raccontare una storia modernissima come è quella del “Quinto passo è l’addio”. Il protagonista Ruggero porta il nome della dinastia dei giudici cagliaritani e osserva i monumenti che portano i segni nobili di quel passato libero e quelli ignobili della storia post giudicale. Lo stesso tema che appassionava il prof Boscolo e il Prof Lilliu che in quel periodo operavano all’università di Cagliari

Di lui, di fede comunista, ricordiamo la sua profonda crisi religiosa che si intravede attraverso simbologie nascoste nelle sue opere specie in “Bellas Mariposas” e “Passavamo sulla Terra leggeri” oltre che nel suo patrimonio valoriale.

I suoi romanzi sono tutti ambientati in Sardegna sin dalle epoche più remote, passando per le lotte sociali dei minatori durante il Fascismo, sino ai giorni nostri.

I protagonisti delle sue storie appartengono alle più svariate classi sociali ma in modo particolare umili, sconfitti, e marginali. Originale il suo linguaggio nei racconti e ancora di più, in alcuni romanzi, (“Il figlio di Bakunìn”) – un mix di sardo, italiano e cagliaritano – che ha fatto scuola tra gli scrittori sardi dell’ultima generazione.

 

 

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