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In memoria di Marta di Efisio Loi

“Quando muore un’amica”

Sono quasi venti anni che vivo “fuori sacco”. In tempi non lontani sarei morto poco dopo aver spento le mie sessantuno candeline. In giorni, sono pressappoco seimilanovecentotrenta granellini. Diciotto giorni di Giugno sono passati ancora nel grande imbuto e Marta se ne è andata. La vita, la morte? L’uomo? È tutto un grande mistero. Qualche tempo fa ne parlavo con Marta e lei mi sollecitava a scrivere dell’Uomo Nuovo. Un tentativo lo feci ma ebbe la meglio la pigrizia, la mia provvidenziale pigrizia. Oggi è il diciannove, sono ormai le cinque della sera. Forse è in chiesa circondata da gran folla. Forse percorre le stradine assolate di Genoni, verso est, verso il campo santo, e tutti l’accompagnano.

Succeda quel che succeda, pigrizia o non pigrizia, ma io ti parlo, Marta. Verro da solo, in un pomeriggio di luce. Verrò a trovarti, fuori tempo, come spesso mi capita. Dal cortile del tuo vicinato salirò le pendici abitate del Monte Santu Antine, fino alla chiesa grande. Col sole alle spalle, dal sagrato entrerò nella navata e mi porterò davanti l’altare, dove tu eri presente fra tanti fiori all’ultimo rito e pregherò il Signore. Poi andrò anche io verso est dietro quei tanti passi che sono stati percorsi con te. Arriverò al campo santo, entrerò e ti cercherò per lasciare una rosa rossa sulla pietra dove c’è il ricordo di te.

Andrò a piedi e lentamente ma se tu guardi mi vedrai su un cavallino della giara con un gran sombrero sulla testa. Candido sarà il cavallo, e vergine stallone, e la rosa avvamperà sulla sua bianca criniera.

Adios, Marta.

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